
La storia di Mohammed Aisha inizia a Gedda, in Arabia Saudita, il 5 maggio 2017, quando Aisha –originario di Tartus, una città siriana affacciata sul mar Mediterraneo – si unisce all’equipaggio della nave mercantile MV Amin come primo ufficiale. Due mesi dopo la nave viene bloccata dalle autorità egiziane nel piccolo porto di el Adabiya, vicino all’imbocco del Canale di Suez perché le sue certificazioni di sicurezza sono scadute.
La situazione si sarebbe potuta risolvere facilmente con una revisione, ma l’armatore libanese della nave si rifiuta di pagare le necessarie spese di carburante, e la società proprietaria della nave, con sede in Bahrein, è in difficoltà finanziarie: per questo la nave viene abbandonata. Per le autorità egiziane però è necessario individuare una persona che ne sia legalmente responsabile e che resti a bordo dell’imbarcazione. Il capitano della nave – egiziano – in quel momento si trova a terra, e quindi viene scelto Aisha, che è il membro dell’equipaggio di grado più alto.
Inizialmente Aisha non capìsce cosa comporti l’ordine del tribunale; solo alcuni mesi dopo, quando gli altri membri dell’equipaggio cominciarono ad andarsene e lui non può seguirli, scopre di non poter lasciare la nave a meno che non sia stata venduta o che un’altra persona prenda il suo posto. Intanto, le autorità egiziane trattengono il suo passaporto siriano.
Gli anni passati da allora non sono stati facili per Aisha. Nell’agosto del 2018 gli arriva la notizia della morte di sua madre, senza che abbia potuto rivederla. Un anno dopo il marinaio è ormai completamente solo sulla MV Aman, ormai priva di carburante e quindi di elettricità. Nessuno gli paga uno stipendio e le sue condizioni psicologiche continuano a peggiorare: ha raccontato a BBC che di notte la nave gli sembrava una tomba.
La vita sulla nave è malsana anche perché, oltre a mancare elettricità e acqua corrente, ci sono ratti, mosche e zanzare, in alcuni periodi particolarmente numerose. Un medico che lo ha visitato di recente ha detto che Aisha mostra i sintomi delle persone tenute imprigionate per anni in cattive condizioni: è malnutrito e anemico, e ha dolori alle gambe. Nel tempo anche le condizioni della MV Aman sono peggiorate e oggi la nave è fatiscente.
Nel marzo del 2020 una tempesta fa perdere alla MV Aman il suo ancoraggio: l’imbarcazione va quindi alla deriva per 8 chilometri, finché non si arena a qualche centinaia di metri dalla costa, vicino alla città di Adabiya. Aisha ha raccontato di essersi spaventato molto durante la deriva della nave, di aver pensato che la tempesta fosse stata «un atto di Dio» perché lo aveva avvicinato abbastanza alla costa da permettergli di nuotare fino a riva per ricaricare il proprio telefono e comprare delle provviste ogni due o tre giorni. Queste spedizioni a terra potevano durare però al massimo due ore, perché la zona vicina alla nave è un’area sotto il controllo militare.
La società proprietaria della MV Aman, la Tylos Shipping and Marine Services, ha detto alla Bbc di aver provato negli anni ad aiutare Aisha, ma di non aver potuto farlo perché non potevano chiedere alle autorità egiziane di revocargli lo status di guardiano legale: «Ci ho provato ma non riesco a trovare una singola persona sulla Terra per rimpiazzarlo», ha spiegato un rappresentante della società.
L’International Transport Workers’ Federation ha cercato per mesi di convincere la Tylos Shipping and Marine Services a risolvere la situazione di Aisha e, non riuscendoci, si è impegnata per far tornare il marinaio a casa in un altro modo.
Il 22 aprile Aisha è potuto tornare dalla sua famiglia e, nonostante la terribile esperienza che ha vissuto, dice di voler riprendere il suo lavoro di marinaio.
Come sottolinea il Post, Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di giustizia sociale, attualmente ci sono 250 casi di navi abbandonate con persone a bordo. Nel 2020 i nuovi casi – 85 in totale – sono raddoppiati rispetto all’anno precedente.
In questa casistica, la storia di Mohammed Aisha è particolarmente esemplare. È stata raccontata e fatta conoscere dalla Bbc nei giorni in cui il Canale di Suez era sotto l’attenzione dei media internazionali per via della Ever Given, che ci si era incastrata.
Altri marinai si sono trovati o si trovano tuttora in una situazione simile perché capita spesso che le società che si occupano di commercio marittimo abbiano grossi debiti. Anche Vehbi Kara, un capitano turco, è rimasto per mesi su una nave abbandonata nel Canale di Suez: grazie all’intervento dell’International Transport Workers’ Federation ora vive in un hotel non distante da dove è ancorata la nave, ma non può lasciare l’Egitto.
Altri 19 marinai, quasi tutti indiani, sono invece bloccati sulla portacontainer Ula nel porto iraniano di Asaluyeh dal luglio del 2019: di recente hanno iniziato uno sciopero della fame perché qualcuno li aiutasse. Uno di loro ha detto alla rivista di settore Lloyd’s List che la situazione a bordo è «critica», che i marinai soffrono di depressione e che le loro famiglie stanno finendo il denaro per mantenerli, visto che non ricevono stipendio.
Anche i 25 marinai indiani della Ever Given rischiano di subire una simile sorte. La nave al momento è bloccata nel grande Lago Amaro, uno degli slarghi del Canale di Suez: le autorità egiziane l’hanno sequestrata in attesa di concordare un risarcimento a favore dell’Egitto a causa dei danni causati dall’ingorgo che la nave aveva creato nel canale.
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