Tutti quanti probabilmente ricorderete la triste storia di Sarah Hijazi, attivista Lgbt+ egiziana che, dopo essere stata in carcere per nove mesi ed aver ottenuto l'asilo politico in Canada, si è tolta la vita. Ecco, da allora la situazione della comunità Lgbt+ in Egitto non è affatto migliorata.
A raccontarlo è Slate che parte dal caso di Adel. Qualche mese fa, Adel (il nome è di fantasia per proteggere la sua identità) entra su Grindr, l'app di incontri per gay, per vedersi con qualcuno dal vivo. Dopo alcuni scambi, Adel trova un appuntamento. Ma la persona che si presenta a casa sua non è quella con cui ha chattato. Alla sua porta arrivano invece degli agenti che lo arrestano per dissolutezza e reati digitali usando come «prova» la cronologia dell'app. Quello delle trappole digitali è un sistema purtroppo comune in Medio Oriente. E anche un rifugiato iracheno a Lesvos, qualche tempo fa mi ha raccontato una storia molto simile.
Adel viene accusato di «crimini dissoluti», nonché crimini informatici. Il suo caso è attualmente oggetto di indagine presso un tribunale egiziano. Come fa notare Slate, i pubblici ministeri del Cairo si affidano alla raccolta di prove digitali per perseguire le persone Lgbt+ da diversi anni, grazie a trappole organizzate su app di appuntamenti. Dal 2020 i magistrati hanno trasferito i casi che riguardano imputati Lgbt+ a tribunali economici, noti per occuparsi di crimini «morali» digitali . Di conseguenza, pene, multe e accuse sono lievitate.
In Egitto, la persecuzione della comunità Lgbt+ non è certo una novità. Sebbene la legge egiziana non proibisca formalmente l'omosessualità, una complessa struttura legale composta da interpretazioni e giurisprudenza ora consente un attacco mirato e continuo delle persone Lgbt+. Dall'arrivo di Internet in Egitto nel 1993, l'aumento delle azioni penali è stato notevole. Nel 2019, l'ong Bedayaa ha registrato novantadue arresti. Tuttavia, la situazione è notevolmente peggiorata nel 2014, con la presa del potere da parte di Abdel Fattah al-Sisi. Sotto la sua presidenza, il ministero dell'Interno ha lanciato nuove campagne rivolte alle comunità Lgbt+. Secondo la Eipr - la stessa Ong con cui collaborava Patrick Zaki, che si trova in carcere da più di un anno con accuse di altro tipo - tra il 2000 e il 2013 si sono verificati in media quattordici arresti all'anno per «crimini» Lgbt+. Dalla fine del 2013 al 2017 la media annuale è salita a sessantasei.
Il 2017 è stato caratterizzato da una delle più grandi ondate di repressione contro le minoranze, con settantacinque arresti ordinati dopo l'apparizione di una bandiera arcobaleno durante un concerto. Nel 2019, Bedayaa ha registrato novantadue arresti . Arresti che non si sono fermati durante i ricoveri medici, anche se in realtà sono stati temporaneamente rallentati a causa delle restrizioni e della riduzione dei movimenti a causa della pandemia. Per criminalizzare le attività online e offline delle persone Lgbt+, le autorità egiziane hanno a disposizione diverse leggi. Fino a marzo 2020, il principale articolo di riferimento era il 9 dell'Anti-Prostitution Act del 1961, che prevede la condanna per prostituzione di «chiunque abbia l'abitudine di indulgere in dissolutezza o dissolutezza». Poiché la natura abituale degli atti è difficile da dimostrare, i tribunali si sono spesso basati su dati digitali provenienti da applicazioni di incontri e chat, ma anche da foto o video trovati sui dispositivi delle persone. In questi casi, le accuse corrispondono generalmente al reato di istigazione alla dissolutezza. Tali casi sono stati processati in tribunali penali, con pene detentive che vanno da tre mesi a tre anni e multe fino a 300 lire egiziane (circa 16 euro).
A marzo dell'anno scorso, i casi che coinvolgono persone Lgbt+ hanno iniziato a essere processati dai tribunali economici. Ovviamente l'evoluzione è legata alle difficoltà che ong e avvocati difensori hanno provato ai pubblici ministeri. Grazie ai loro sforzi, i crimini di «pubblicità», «promozione» o «pratica abituale» di dissolutezza sono diventati più difficili da provare. Secondo Sharif, uno dei principali avvocati difensori che lavorano su questi casi intervistato da Slate «gli imputati vengono spesso assolti semplicemente perché, secondo la legge sulla dissolutezza, affinché ci sia reato l'istigazione alla prostituzione deve essere pubblica. Ma gli scambi sono ovviamente privati - non c'è "pubblicità"». E grazie a vizi tecnici nella raccolta delle prove digitali, negli ultimi anni gli avvocati della difesa hanno ottenuto sempre più assoluzioni e condanne ridotte.
Così è stata scelta la via dei tribunali economici. Creati nel 2008, con giurisdizione sulla legge sulla regolamentazione delle telecomunicazioni del 2003, tra le altre cose applicano leggi finanziarie ed economiche da cui prendono il nome. L'avvocato egiziano Islam Khalifa, che ha lavorato su casi più vecchi, afferma che la manovra è parte integrante della sorveglianza online del governo egiziano e delle politiche di polizia giustificate dalla difesa dei «valori egiziani», e corrisponde a quanto vi abbiamo raccontato qui sulla persecuzione delle tiktokers e delle ragazze che denunciano abusi.
Le leggi che i tribunali economici invocano per processare questi casi sono tanto vaghe quanto adattabili alle esigenze dei procuratori. Ad esempio, la sezione 76 del Telecommunications Regulation Act criminalizza «l'uso improprio delle telecomunicazioni» e la sezione 25 del Cybercrime Act punisce l'uso della tecnologia per «minare qualsiasi valore o principio familiare della società egiziana». Il che significa tutto e niente. Così, se prima era sempre possibile contestare l'ammissibilità dei documenti e invocare vizi formali, ora sarà molto difficile per gli avvocati provare l'innocenza dei loro assistiti.
Anche le multe che accompagnano queste nuove condanne sono significative. «Mentre i casi di dissolutezza sono generalmente puniti con una multa di 400 lire egiziane (che corrispondono a pochi ero), e da tre a sei mesi di reclusione per le condanne più gravi, la nuova legge prevede una multa di tra le 50 mila e le 100 mila lire e le pene detentive minime sono generalmente di due anni», ha spiegato Sharif. E la situazione sta peggiorando. Il 1 ° settembre 2020, il governo egiziano ha firmato un decreto sulla criminalità informatica che contiene una lista di reati. In precedenza, gli avvocati della difesa potevano sfruttare il vuoto legislativo, ora anche questa possibilità è loro preclusa. Inoltre, sempre secondo Sharif, il tribunale chiama «un esperto di computer, a volte un ingegnere, che viene a esaminare il telefono, le conversazioni, i dati e gli indirizzi IP, che controlla tutto e poi produce un rapporto tecnico dettagliato al tribunale».
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi - «il dittatore preferito di Trump» e destinatario della Gran Croce della Legion d'Onore per mano di Emmanuel Macron - continuerà a fare delle minoranze sessuali il suo capro espiatorio e le perseguiterà in un crudele gioco del gatto e del topo. Le comunità colpite mancano di sostegno internazionale. E se i politici e i leader devono assolutamente intervenire, le aziende tecnologiche, i cui strumenti possono servire come prova, devono sicuramente vietare l'accesso ai dati soprattutto quando si tratta di informazioni così sensibili, tanto più in Paesi dove i diritti sono tutt'altro che assicurati.
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